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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

domenica 29 aprile 2012

Dona il tuo 5 x mille a InHoltre

Anche quest'anno è possibile devolvere il 5 x mille della propria dichiarazione dei redditi, attraverso CUD, 730 e UNICO. Apponi la tua firma sulla dichiarazione nel posto riservato al "Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale". Indica nella stessa casella il nostro codice fiscale:

92049250803


Firmare per la destinazione del 5 x mille dell' IRPEF non costa nulla ma dà una grossa opportunità alla nostra associazione per investire delle risorse per il coinvolgimento e la socializzazione delle persone con disabilità e delle loro famiglie.

Donaci il tuo 5 x mille,
 avrai 5000 grazie
da InHoltre

mercoledì 25 aprile 2012

Il caso della tedesca Hops. Ma adesso non screditiamo lo sport paralimpico


Ogni volta che ci sono casi come quello della tedesca Yvonne Hopf, mi chiedo: perché? Perché una persona finge (è il caso dei truffatori per avere la pensione) o accentua (può capitare nello sport ed è il caso citato della nuotatrice tedesca) una disabilità? Risposta facile nel caso dei truffatori: per soldi. Ma nello sport paralimpico? Lì soldi non ne girano. Anche se i professionisti ora sono molti, quelli che davvero possono dire di guadagnare bene sono pochissimi. Ed erano ancora meno, infinitamente meno, nel 1996, anno della Paralimpiade di Atlanta, quando la Hops, ipovedente (non cieca), vinse 5 medaglie d’oro. Da controlli successivi i medici scoprirono poi che vedeva più di un decimo, limite consentito per gareggiare fra gli ipovedenti. Nascono diverse riflessioni. 
La prima: lo sport paralimpico è ancora debole, a volte visto con sufficienza o con troppa benevolenza e pietrismo, troppo facile da attaccare e per questo va comunque difeso. Sarebbe come dire: siccome ci sono dei truffatori, aboliamo gli aiuti per chi ha disabilità; siccome c’è chi si dopa, tutti coloro che vincono si dopano. Troppo facile e semplicistico. Screditarlo o insinuare dubbi è invece criminale: grazie allo sport paralimpico milioni (milioni!) di persone con disabilità vivono meglio. Negli Stati Uniti la prima cosa che mostrano ai soldati che tornano con disabilità dalla guerra sono le discipline sportive che possono fare. Il messaggio: se potete divertirvi facendo sport capite che la vita vi ha solo dato una nuova opportunità e riuscirete a fare molto d’altro. 
Lo sport paralimpico è pulito. Il fatto che queste notizie escano e si scopra anche chi bara o sembra abbia barato (perché poi spesso, come nel caso di Monique Van der Vorst, spiegato anche qui, si nota che così non è) è solo sintomo che non ci si nasconde e si vuole fare in modo che questi fatti non accadano. Importante: fare controlli sempre più accurati. E’ fondamentale e in questo senso il Comitato Paralimpico Internazionale è impegnato da moltissimo. 
Il caso della Hopf è di oltre 15 fa. E le cose sono molto cambiate. Lo sport paralimpico vero e proprio, nato dopo la seconda guerra mondiale, quindi poco più di 60 anni, si è sviluppato e dato delle regole da una trentina d’anni. Regole in continuo mutamento in tutti i campi. Anche in quello delle classificazioni e dei controlli. 
A Londra 2012 torneranno le gare per atleti con disabilità intellettiva e relazionale. Saranno molto limitate (7 in tre discipline) e mancavano da Sydney 2000, quando uno scandalo coinvolse la nazionale spagnola, che vinse il torneo di basket. Si trattò di una vera e propria truffa: dieci atleti su dodici di quella squadra non avevano alcun tipo di disabilità. A svelarlo fu proprio uno di loro, il giornalista Carlos Ribagorda, che lo raccontò sulla rivista Capital. Fu un danno enorme per il Comitato paralimpico internazionale, portando alla decisione di cancellare tutte le gare per atleti con disabilità intellettiva e relazionale dalle Paralimpiadi, in attesa di studiare la situazione e fare in modo che non potessero più esserci frodi del genere. Ora i controlli sono molto più rigidi. Sapete perché non lo erano prima? Può sembrare strano, ma anche per una considerazione molto semplice: sulla disabilità non si finge. Fu in quel momento che ci si accorse che qualcuno lo faceva anche nello sport. Si chiamano truffatori, però. Ecco perché controlli e classificazioni della disabilità nello sport, in particolare quelle nazionali, devono essere molto attente, specialmente sulle disabilità “borderline”, come quella che riguarda persone ipovedenti. 
E si torna alla domanda iniziale: perché? Nello sport paralimpico i motivi davvero si fatica a comprenderli. Se c’è chi bara, va punito. Vale anche per il doping, piaga presente anche nel mondo paralimpico. Ma attenzione a farlo senza screditare un movimento che non è solo sportivo, ma anche, probabilmente soprattutto, sociale. Il nuoto paralimpico è quello dei ragazzi della foto in primo piano. Questo è quello che conta.

giovedì 19 aprile 2012

Maria Carla ha trovato una famiglia… gli altri nemmeno una legge

Caro Presidente Napolitano,
come da lei auspicato Maria Carla Morosini ha trovato una nuova e grande famiglia. Il mondo del calcio, i grandi campioni, come Balotelli (leggi la lettera di Franco Bomprezzi al campione) e Di Natale, e i calciatori meno noti del campionato di serie B la stanno stringendo in un caldo abbraccio. In tanti hanno promesso sulla tomba del fratello Piermario, un ragazzo che la vita ha fatto crescere in fretta e che troppo presto il destino ha richiamato a sé, di prendersi cura di lei che soffre di una grave disabilità mentale. Gesti e promesse che mi hanno sorpreso, ma che mi hanno fatto riflettere e lasciato con in bocca una domanda E gli altri?
Gli altri disabili gravi e gravissimi, non autosufficienti, che ne sarà di loro una volta che i parenti più stretti non ci saranno più? Il clamore del caso ha commosso l’opinione pubblica. Ora è necessario che l’attenzione non venga meno. Lo dobbiamo a Piermario, a Maria Carla e ai tanti genitori che vogliono un futuro per i loro figli più fragili.
Un giorno parlando con un padre di una persona non autosufficiente mi capitò di sentirlo pronunciare le parole: «Non può nemmeno suicidarsi. E’ costretto a vivere e sopravviverci». Rimasi di ghiaccio. Poi guardai gli occhi innamorati di quel padre e capii il tormento che lo perseguitava. Il suo pensiero e quella domanda che giorno dopo giorno faceva capolino nella sua mente e nel suo cuore. Non una domanda qualsiasi, ma la Domanda per chi convivendo con una disabilità grave si pone il problema del futuro del proprio figlio. Cosa ne sarà di mio figlio quando noi genitori non ci saremo più?
E’ sufficiente essere genitori per essere colti da un tuffo al cuore al solo pensiero. Un pensiero che qualche volta attraversa la mente di chi non vive la disabilità, ma che diventa un aculeo che punge le menti dei padri e delle madri coraggio. Quella vocina non si cancella. Come un nenia che non si vuole recitare risuona nelle menti dei genitori. E’ qualcosa che attanaglia il cuore, toglie il respiro. Che sarà di lui? Quattro parole che soffocano in gola mentre si cerca di distogliere la testa e ricacciarle nell’angolo più recondito e buio del proprio animo.
Avere a che fare con la disabilità non c’entra, qui entra in gioco l’essenza stessa della genitorialità. Un giorno parlando con Anna, un’amica che vive con un figlio con un forte disagio mentale, l’ho sentita pronunciare poche parole dal suono terribile: «Speriamo che muoia prima di me». Si riferiva al figlio. Quale tormento può spingere una mamma a pronunciare una frase così forte? Difficile crederlo, ma è un amore. Un amore che trescende tutto. Perché purtroppo in Italia non esiste un futuro per questi ragazzi che non sia l’assistenza di un parente (o qualche sporadico tentativo di qualche comune). E se questo non c’è…
E’ negli suoi figli che Massimiliano Verga, autore del suo libro Ziguli, ripone la speranza per Jacopo, bimbo con un grave deficit cognitivo. E’ nella mani della figlia che Nur Fardowza, madre e medico gastroenterologo di origine somala, che pone il futuro del figlio, Yonis, che soffre di autismo (Un’iniziativa a favore di chi soffre di Autismo). «Il mio pensiero non riesce a correre al futuro», mi ha raccontato durante una chiacchierata telefonica, «mi spaventa troppo il pensiero dell’esistenza di Yonis senza noi genitori. Stiamo lavorando in modo intenso per renderlo autonomo. E’ la nostra attuale missione. Non so se riusciremo a realizzare questo sogno. Intanto la sorella già ora, senza che la forzassimo, comincia a prendersi cura del fratello, ma il futuro cosa ci riserverà? Se la sentirà di caricarsi sulle spalle questo fardello?».
I disabili non autosufficienti sono doppiamente orfani: dei genitori una volta che questi passano a miglior vita e di una legge. Anzi di due disegni di legge che giacciono in Parlamento negletti. Il primo, che porta la firma di Livia Turco alla Camera dei deputati (proposta di legge 2024), per l’istituzione di un fondo pubblico di sostegno per le persone non autosufficienti. Fermo per mancanza di soldi. Il secondo, che affronta il problema dal punto più normativo, bloccato da 4 anni in Senato. «C’è un accordo sul testo trasversale e bipartisan», racconta Maurizio Pittori, uno degli estensori del testo che porta la firma dei senatori Zanda e Vizzini. «Non avrebbe nemmeno bisogno di una copertura finanziaria visto che fissa le norme per l’introduzione in Italia di una sorta di tutoraggio sull’esempio del trust inglese. I fondi privati in parte finanzierebbero pure la solidarietà generale». Ma nulla si muove.
Caro Presidente non lasci che i fiori che ha donato a Piermario sfioriscano… e che la speranza di questi genitori si spenga nei corridoi del Parlamento.

venerdì 6 aprile 2012

AUGURI PER UNA SERENA 
PASQUA
AI RAGAZZI
AI VOLONTARI
AI SOCI
ALLE FAMIGLIE
E A TUTTI
GLI AMICI DI INHOLTRE

lunedì 2 aprile 2012

Massimiliano e Carlo, i padri che non fuggono


Massimiliano e Carlo non sono scappati. Sarebbe stato più facile fuggire dalle responsabilità e dalle fatiche di un figlio disabile. Sarebbe stato semplice varcare fisicamente la porta per non sentire più l’acuto stridore delle urla che trafiggono le orecchie e l’acre odore delle funzioni fisiologiche espletate in loco che punge le narici. Sarebbe stato più comodo trasferirsi e ricostruire un altro nucleo famigliare con figli che considerano “sani”. Gli uomini sembra riescano meglio delle donne a recidere il cordone ombelicale che li unisce ai figli. Così nella disabilità come nella quotidianità. Non è necessario scomodare le statistiche per misurare il fenomeno. E’ sufficiente guardare alla stretta cerchia delle proprie amicizie per scoprire quante coppie scoppiate si contendono i figli e quante madri abbandonate crescono i loro cuccioli in solitaria e silenziosa autonomia. Ma la realtà parla anche di padri divorziati alla ricerca del modo di trascorrere ancora un po’ di tempo con i propri figli prima che questi siano troppo cresciuti.
La realtà parla anche di Massimiliano e Carlo. Due padri diversi, più noto il primo Massimiliano Verga (leggi la storia sulla 27esimaora), che attraverso le pagine del libro Zigulì ha urlato e raccontato i dolori e le angosce di essere papà nella disabilità. Al lettore non ha risparmiato nulla di questa quotidianità famigliare. Nel libro accanto alla rabbia gridata spesso con forza, al senso di inadeguatezza, all’impotenza di fronte a una società che non vuole vedere e capire, Verga riesce a trasmettere i suoni, gli odori, le paure, le incertezza di chi è solo a combattere un “mostro” più grande di lui. Che piaccia o meno anche questa rabbia è simbolo dell’amore immenso che lega un padre a un figlio.
L’altro, Carlo, è l’esempio di tanti altri padri che vivono nell’ombra queste difficoltà. Conosciuto in una piccola cerchia di amici, non ha più tempo per sè e dedica ogni pensiero e ogni minuto libero dal lavoro al figlio tetraplegico. Non ha scritto un libro e forse non lo scriverà mai. Purtroppo. Ho incontrato Carlo e sua moglie una sera a cena e ho scoperto una famiglia che, nelle mille tensioni della quotidianità, rema in un’unica direzione, compatta e solidale. Così Carlo e sua moglie sono, giorno dopo giorno, lì per il loro figlio. Nel loro cupo silenzio forse non hanno mai accettato che una malattia portasse via i movimenti del figlio, la sua adolescenza, il suo futuro da adulto indipendente. Carlo ha scelto, ha deciso con la moglie Maria di sovvertire la scala dei valori che la società impone, tornando a porre al centro della sua vita la famiglia e quel bambino un po’ cresciuto che in un eterno bozzolo non può sviluppare le ali per volarsene via. Carlo ha deciso: sarà le ali di suo figlio.