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Ogni individuo sia valorizzato in quanto persona e non per quello che produce

giovedì 28 giugno 2012

Quando una persona con disabilità è anche un cliente



Di Simone Fanti
 
Qualche giorno fa girava su Facebook un’immagine che raffigurava una persona in carrozzina davanti a una pizzeria in un bel pergolato sopraelevato e con due gradini da superare (in apertura trovate la foto). Nel fumetto si dice chiaramente «Anche a me piacerebbe ogni tanto al sabato sera uscire per andare a cena o per mangiare la pizza». Leggendola mi è venuta in mente una battuta – purtroppo troppo vera per far sorridere: un abile quando esce a cena pensa “vado da X dove si mangia un magnifico risotto con l’ossobuco o da Y dove fanno le vera pizza napoletana?”. Il dubbio della persona con disabilità è un po’ diverso: “vado da Gigi dove c’è la rampa e un bagnetto accessibile, ma si mangia male oppure vado da Antonio dove si mangia bene, ma non riesco a entrare?”. Spesso non si ha alcuna opportunità di scelta. Oggi, 28 giugno 2012, che insedia ufficialmente Comitato per lo sviluppo e la promozione del Turismo Accessibile, organismo tecnico composto dai massimi esperti del settore, istituito dal Ministro per gli Affari regionali, il Turismo e lo Sport, permettetemi un po’ di polemicuzza e un’affermazione: anch’io voglio essere considerato come un vero cliente.

I miei soldi sono diversamente validi? Non credo. Un cambio di linguaggio è a questo punto doveroso: una persona con disabilità spende per un risotto la stessa cifra di chiunque altro, occupa lo stesso spazio fisico…, e parimenti, fa girare l’economia, a patto che sia invogliato ad uscire senza timore. Quindi perché è trattato come un paria? Certo parlare di business nel mondo della disabilità rischia di far venire la pelle d’oca, pone immediatamente sulla difensiva per la troppa abitudine di legare il concetto di affari con lo sfruttamento delle difficoltà altrui per fare soldi. Talvolta però è utile abbassare le difese per comprendere un altro passaggio: la persona con disabilità è un cliente. E’ un avventore per un ristorante, è un acquirente per il supermercato… è un ospite per un albergo.

Ci pensavo confrontandomi con i responsabili di due aziende (Givi, società editrice di Giudaviaggi, e Lptour) e un’associazione (l’Aus dell’ospedale Niguarda che già dispone di uno sportello turismo e di un corner per l’abbattimento delle barriere architettoniche) che lanciano, in questi giorni, Easy Hotel planet, un progetto di verifica delle strutture alberghiere milanesi, attraverso verificatori volontari con disabilità, che prevede la valorizzazione delle informazioni raccolte attraverso la pubblicazione di una guida e di un sito. Un progetto utile, ma più proseguivamo nel confronto, più sassolini s’infilavano nelle mie scarpe. Non a causa del progetto, non fraintedentemi, ma per colpa di una società che prosegue a non voler vedere le persone con disabilità. Condivido con voi dubbi, perplessità e arrabbiature quasi ragionassi ad alta voce con voi… in attesa di un confronto, di storie che confermino o smentiscano – me lo auguro – le mie sensazioni.

Allora partiamo da qualcosa che per natura dovrebbe essere obiettiva, i numeri. Difficile sbagliarli: tot certificati di invalidità uguale a tot persone con disabilità. Invece le percentuali variano da un 5% della popolazione italiana a un 13%, se si considerano come handicap piccole o grandi insofferenze alimentari e allergie. I conti della serva mi fanno dire: si passa da 3 a 7,5 milioni di italiani disabili, una forchetta, come si indica in gergo economico questa differenza, di oltre 4,5 milioni di persone. Ci sarebbe poi anche da dire che i dati più aggiornati sono di circa 6 anni fa e che il sito ufficiale dell’istat (disabilitaincifre.it) è bloccato da almeno un paio di mesi.

Secondo sassolino, meglio sarebbe dire riflessione che parte appunto dal progetto, l’ultimo in ordine cronologico di una serie: può un’idea che mescola profit, no profit ed esclude il pubblico stare in piedi? Gli organizzatori dicono di sì a patto di definire bene gli ambiti di intervento delle due categorie, alla onlus Aus il compito di verificare e di “diffondere una cultura dell’accessibilità”, alle due società (Givi e Lptour) private il compito di diffondere le notizie, formare il personale delle agenzie di viaggio e promuovere le strutture in Italia e all’estero. Me lo domando perché in periodi di tagli ai contributi pubblici, imprenditori e promotori di iniziative potranno attingere sempre meno dalle casse pubbliche, e quindi per poter avviare nuove iniziative dovranno trovare formule di collaborazione innovative.

Va detto che di iniziative sono già nate nei mesi scorsi e stanno riscuotendo un certo successo. La prima che mi viene in mente è Villageforall - V4A che si propone come marchio di qualità internazionale del turismo accessibile che ha come obiettivo l’inclusione turistica e la promozione della attività sportiva per tutti. Qualche settimana fa ero a cena con il presidente di V4A a GitandoAll, Roberto Vitali e mi raccontava con soddisfazione di essere riuscito a radunare nel primo giorno della manifestazione oltre un cinquantina di buyer internazionali (sommariamente gradi operatori che comprano l’offerta turistica per poi rivenderla nei propri cataloghi), ma anche di essere riuscito ad esportare l’idea in Brasile dove Enit, l’Agenzia Nazionale Turismo, qualche giorno fa ha organizzato l’evento Italia para Todos con le mete italiane più accessibili per incontrare le richieste di 650 agenzie.

Ultima riflessione, ma tante altre le metto nel cassetto per non tediarvi troppo (tanto prima o poi ve le scriverò, mi conosco). Queste iniziative portano, accanto a un miglioramento della fruibilità delle strutture, anche ad un impiego e posti di lavoro per chi è invisibile? Vi lascio con la risposta di Paolo Bertagni di Givi: «Dopo una fase iniziale in cui ci avvarremo dei volontari dell’Aus Niguarda, verranno coinvolti anche persone con disabilità che verranno remunerate per il lavoro svolto da una società in via di costituzione».
Tratto da Invisibili Corriere della Sera